SUMMER TIME

I castelli di sabbia di quel giorno ormai vedevano il tramonto del mare, mentre le onde di acqua salata riempivano dapprima i fossati scavati con piccole mani e poi via via distruggevano le fondamenta di quelle maestose costruzioni, opera di piccoli ingegneri inconsapevoli. 

Noi avevamo salutato la battigia da un po’, anche se in verità non eravamo poi tanto distanti.
Il mio hotel non distava molto dalla spiaggia ed è forse per quello che le nostre fughe finivano sempre troppo presto per poter dire che correvamo un rischio. L’unico rischio forse, era quello di innamorarci troppo. 

Disteso sul letto che la notte pesava del mio solo corpo, ora anche il suo contribuiva su quelle molle che non avevano ancora sopportato abbastanza. 

Avevamo preso una bottiglia di vino nel market a pochi passi, tra la sua abitazione e il mio hotel, avevamo pagato in contanti come si fa nei film e avevamo gettato via lo scontrino. Saliti di nascosto in camera, abilmente eludendo il custode di notte, eravamo seduti con le schiene appoggiate al muro mentre lei teneva in mano la bottiglia aperta che ogni tanto portava alla bocca lasciandole le labbra un po’ bagnate. Quelle stesse labbra segnate da quel rossetto indimenticabile che, sorso dopo sorso, diventavano un po’ più tenue, ma comunque sempre troppo invitanti. 

Dopo poco, la bottiglia era in mano mia. 

Io preferivo fare meno sorsi, ma differentemente da lei, i miei erano più impegnativi. Quel vino aveva un sapore dolce, forse per la situazione in cui anch’esso, si trovava. E non solo la situazione, ma anche dove, sulla sua bocca, nel suo respiro.

A metà, sembrava che nessuno dei due volesse continuare a bere. Nonostante tutto però, la stanza aveva iniziato a sembrarci diversa e l’unica mia attenzione era rivolta verso di lei. Le mie mani si muovevano leggere, incerte sul come fare, su come toccare la sua pelle, su come rubarle il fiato, su quando, e sul sapore di tutto quello. Vedevo la sua testa compiere dei movimenti all’indietro lasciando cadere i suoi lunghi capelli fino ai piedi del cuscino sul quale era seduta, e di quella vista io ne ero innamorato. 

Tenevo tra le mani qualcosa di fragile per me, nonostante sapessi che non lo era. Non avrei mai voluto lasciare nessun graffio, segno, nemmeno una piega su quel corpo… Ma che dico, su di Lei. 

Non era solo corpo, era emozione. Al suo respiro, al suo desiderio di piacere, ero io invece a riceverne, al suo guardarmi negli occhi desiderandomi, ero io che la desideravo di più.

Uno specchio che non solamente rifletteva, ma che amplificava di non so quante volte tutto quello che lei provava. Ed in quella stanza, ed al mondo, non poteva esistere niente di più appagante di vedere i suoi occhi chiusi, la sua bocca semiaperta ed ogni tanto stringere un po’ le labbra, mentre le mie mani stringevano il suo seno prima di arrivare a stringere i fianchi ormai poco a poco scoperti…

In quel momento, stavamo tenendo difficilmente il freno a quello che avremmo voluto veramente. Tuttavia, non c’era fretta, e ogni attimo era un momento che più ci avvicinava. Era speciale quella sera, un po’ di più delle altre e sembrava che entrambi ce ne fossimo accorti.

Lo sentivo nella sua voce, più tranquilla, nonostante a volte le sue mani lasciassero intendere quel desiderio di volermi, e lo facevano tirandomi a se. Ed io, senza nessuna buona ragione per resisterle, mi lasciavo tirare. Un po’ come quel pomeriggio, mano nella mano, sulla spiaggia.

E rimanendo sempre un po’ indietro, mi piaceva guardarti davanti a me. A guardare, dove tu mi avresti portato.

D.

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